di Ilaria Floreano
Diceva La Rochefoucauld: “mangiare è una necessità, mangiare intelligentemente un’arte”. E se si mangiano intelligentemente cibi visivamente accattivanti in un’atmosfera di convivialità, ecco che un’attività primaria diventa oggetto cinematografico tra i più amati e interessanti. Babette prepara le cailles en sarcophage (le quaglie in sarcofago di Il pranzo di Babette) e tu spettatore senti il paté e il brodo di vino sciogliertisi in bocca. Alberto Sordi aggredisce quei “maccaroni” che l’hanno “provocato” e subito senti un languorino e hai voglia di ragù (Un americano a Roma). Capita lo stesso con gli spaghetti di Totò (Miseria e nobiltà) – quando si dice “avere fame”! Soffri enormemente insieme ai commensali del Fascino discreto della borghesia, seduti a una ricca tavola dove non riusciranno a mettere nulla sotto i denti. Poi ti prende una leggera ebbrezza al termine della ronda attorno al tavolo di Mine vaganti, con la famiglia che produce pasta riunita per il Pranzo della domenica; o a sentire i discorsi filosofici nell’estate greca di Before Midnight. Per non parlare dell’acquolina di fronte all’ottimo pescetto innaffiato di vino bianco e preparato con amore da Gianni Di Gregorio per il Pranzo di ferragosto dell’ottuagenaria mamma, attempate-compagne-di-stanza-dotata. Fai il tifo per Amy Adams che rifà tutte le ricette di Meryl Streep in Julie&Julia (mentre la vera Julia Child occhieggia dal televisore rompendo uova, cucendo petti d’anatra e infarcendo tacchini) e resti affascinato come Giovanna Mezzogiorno davanti al pasticcere Massimo Girotti che elabora meraviglie alla crema pasticcera in La finestra di fronte; come Lena Olin mentre osserva Juliette Binoche stendere Chocolat fuso; come la corte del Re Sole al cospetto dei capolavori dolciari di Vatel. Nei film il cibo viene preparato, spiegato, mangiato, lanciato, sprecato, accarezzato morbidamente da una macchina da presa adorante. E tu, spettatore, dall’altra parte t’incanti a vedere cuocere carni, preparare cupcakes, infornare biscotti, mescolare insalate (ma ti prego, spettatore, al cinema il cibo si guarda, non si mangia: i popcorn e i nachos ti possono aspettare). Non solo perché ami il cibo, ma perché l’atto di mangiare, nei film come nella vita, diventa spesso occasione di scontro e confronto (alimentare e culturale), socialità spinta, guerre ideologiche e lotte di classe, soprattutto se attorno alla tavola imbandita ci si riunisce per un matrimonio. L’adagio size doesn’t matter in questo caso non vale: quando si parla di nozze, nei film come nella vita, più si mangia meglio è. Non campioni di eco-sostenibilità, cinema e matrimonio, quando si tratta di cibo. Ma siamo dalle parti della sostanza di sogno di cui siamo fatti che, si sa, non disdegna gli eccessi.
Ilaria Floreano è nata a Desio il 16 agosto 1984. Dirige per Bietti Edizioni la collana editoriale Heterotopia, dedicata al cinema; traduce saggi dall’inglese e dal francese; scrive libri. L’ultimo è “Ciak, mi sposo!“, piccola guida ai film sul matrimonio e al matrimonio attraverso i film dedicata a futuri sposi, wedding planner e tutti coloro che piangono quando al cinema lui e lei dicono “sì, lo voglio”.
da Miseria e nobiltà